E l buon
maestro: "Questo cinghio sferza la colpa della invidia, e però sono tratte damor le corde della ferza. Lo fren vuol essere del contrario sono: credo che ludirai, per mio avviso, prima che giunghi al passo del perdono. (Purg. XIII, 37-42) Di vil ciliccio mi parean coperti, E come alli orbi non approda il sole, Savia non fui, avvegna che Sapia Rotti fuor quivi e volti nelli amari Fu il sangue mio dinvidia sì riarso, |
"Chi più infelice di costoro, che la vista della felicità altrui rattrista duna pena che li rende più colpevoli? Se amassero quel bene che vedono negli altri e non possono avere, in certo modo lamore glielo farebbe possedere", così esortava già nel primo Millennio Gregorio Magno, con parole difficili da vivere nella vita quotidiana, in un mondo che esalta la ricchezza e lo splendore del potere. Come non comprendere il patire della donna brutta, alla vista della raccolta interiorità della bellezza? Un moto dinvidia nasce istintivo ed aspro. Se la ragione non lo disciplina e domina, si inasprisce la pena lancinante. Si irrigidiscono i lineamenti del viso, si intristisce e incattivisce lo sguardo, si illividisce il corpo di luttuosa magrezza come tralcio sterile. Si nasconde lInvidia con un velo nero e forse trama nellombra. Vorrebbe anche oscurare laltra donna, quella a destra, serena e consapevole della propria bellezza, immersa in una luce chiara e distesa su un candido drappo. Nero e bianco. Il tema è prosciugato dogni scoria drammatica o patetica. |